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Dal I secolo al III secolo

Nel I secolo d.C. Plinio il Vecchio (23-79) scrive “Naturalis historia”, opera enciclopedica che consta di 37 libri, in cui tratta anche di Botanica e Micologia, in modo assai approfondito.

Purtroppo, nel tempo, di amanuense in amanuense, l’opera si è arricchita di imperfezioni ed errate trascritture; occorre render merito all’umanista Ermolao Barbaro che nella seconda metà del XV secolo riportò agli antichi splendori l’opera pliniana. Plinio, nel libro 22 afferma la scarsa affidabilità degli sporofori dei funghi del genere Amanita (ed in particolare A. caesarea) perché facilmente confondibili l’una specie con l’altra.

Parla anche della possibilità di uno sporoforo di un fungo commestibile di divenire tossico se cresciuto presso oggetti metallici o stracci o anche se sviluppato nei pressi di tane di serpenti. Queste ultime affermazioni, per quanto razionali per il principio che il fungo funziona come una spugna, sono assolutamente destituite di fondamento, ciò nonostante, ancora, nel popolino hanno un certo credito… Per la prima volta cita la “volva” come velo basale dei Boleti (Amanita) e segue il loro sviluppo ed il loro ciclo vitale che dura circa 7 giorni; ne osserva la crescita solitaria e la genesi che collega alla fermentazione del limo o dalle radici di piante cupulifere (le attuali Fagaceae).
Cita le poliporacee lignicole (probabilmente Fistulina hepatica e Inonotus hispidus) come buoni funghi mangerecci ed inoltre parla di funghi commestibili che potrebbero ricondurre a Macrolepiota procera o a Coprinus comatus.

Ai Suilli (gli attuali Boletus spp.) attribuisce attività venefiche, specialmente correlate al viraggio delle carni al tocco o al taglio. Ad essi fa rimontare tragici episodi di intossicazioni collettive mortali. Si spinge anche a consigliare, in caso di pasto a base di funghi, l’utilizzo di aceto o piccioli di pere in cottura o come antidoto. Si attarda poco a parlare di tartufi, ma cita Terfezia terfezioides come fungo ipogeo molto apprezzato e tipico delle colonie nordafricane.


Nel 50 d.C., un’opera di Pedacio Dioscoride (40-90), generale medico sotto Claudio dapprima, Nerone poi, “Sulla Materia Medica” in 5 libri, presenta dissertazioni approfondite sulle micotossicosi e su sistemi terapeutici (dall’aceto, al sale, al miele, alla pollina, alla santoreggia) che,

molto probabilmente saranno stati impiegati per secoli (non sapremo mai con quali esiti!).

Cita i primi tentativi di coltivazione dei funghi “Aegiritae” (Cyclocybe cilyndracea) su tronchi di legno “cosparsi di fermento ed acqua”.

Ad egli si deve l’utilizzo di piante officinali a scopo terapeutico nonché del Fomitopsis officinalis, da lui definito “Agaricum“, come fungo medicamentoso; Dioscoride si premura anche di indicare i

migliori areali per la raccolta degli sporofori di questo fungo, di migliore qualità. A cavallo tra il II ed il III secolo d.C., Claudio Galeno (129-199), sotto gli imperatori Marco Aurelio e Commodo, scrisse di Micologia e di Micotossicologia definendo commestibili solo i Bolìtes (gli attuali ovoli – Amanita caesarea) e gli Amanìtai (gli attuali porcini – Boletus spp.), ben distinguendoli dai Mykès (tutti i restanti funghi a sporoforo pileo-stipitato) per lo più tossici.


Egli, in modo arguto, afferma lo scarso valore nutritivo dei funghi e la scarsa digeribilità dei medesimi. Come Dioscoride è un sostenitore dell’impiego dello sterco di pollo come detossicante in caso di micotossicosi.